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Pieve di Santa Maria d’Areglio

L’edificio, fondato tra il 1025 ed il 1050, in origine imponente per vastità ed altezza, è ora in completa rovina.
Nel XIV secolo questa pieve fu molto importante.


Descrizione

Giunti nella campagna presso Areglio (ora frazione di Borgo d’Ale, ma un tempo pieve di grande importanza) ci appaiono i ruderi di quella che fu la chiesa plebana di Santa Maria, conosciuta anche come la “Gesiassa”.


A questa chiesa, come risulta dal libro delle decime di Papa Urbano V del 1368 (Arch. Vesc. Ivrea), dovevano far capo tutti i paesi e le chiese dei dintorni e cioè precisamente: Cossano, Azeglio, Settimo Rottaro, Caravino, Masino, Vestignè, Borgomasino, Maglione, Erbario con la sua chiesa di San Dalmazzo, Meoglio con la sua Cella e le chiese di San Michele delle Loggie e di Santa Maria di Fontana Moregna.


Già nel 1573, però, Mons. Bonomi, durante una visita pastorale, riscontrava che la chiesa era senza soffitto e che le pitture che adornavano le pareti erano danneggiate dall’umidità.


Dallo stato di rovina di questo enorme rudere deriva l’appellativo popolare di “Gesiassa” (chiesaccia), tuttora in uso.


Dai muri che rimangono si può arguire che la costruzione era a due navate.


Il Benedetto, però, asserisce, senza specificare se a seguito del ritrovamento di qualche prova o semplicemente per sua deduzione, che la chiesa era a tre navate e che la navata nord crollò; cosa che potrà essere appurata solo da eventuali accurati scavi.


Una grande abside, purtroppo quasi completamente sbrecciata, si trova al fondo della navata principale. A destra della navata si notano cinque arcate massicce, ben conservate. Sopra il muro sovrastante ad esse, sono ancora visibili due monofore che prendevano luce superiormente il tetto della navata laterale destra.


Due finestrelle cruciformi, ancora visibili e in asse tra di loro, si trovano una sulla parete che sovrasta l’abside e l’altra in facciata, perpendicolarmente alla porta d’ingresso e ad un’altra apertura, un tempo probabilmente ad oculo.


I resti di un campanile appaiono al fondo della navata a sud, proprio davanti alla piccola abside. L’ultimo arco a destra, vicino l’abside, fu ostruito dalla costruzione del campanile. Il campanile ostruì anche l’abside della navata destra creando, però, tra questa e la nuova costruzione, un piccolo vano dal quale si accedeva tramite porticine ad arco ancora visibili.


La chiesa era in parte affrescata nella facciata esterna e nell’abside, dov’era raffigurata la Vergine Maria, con la scritta “MARIA”.


L’affresco con la decorazione absidale risultava solo più un labile frammento già ai tempi dell’indagine della Gabrielli nel 1942.


Oggi il frammento, ridotto e sbiadito, permette ancora, ma con difficoltà, la lettura “ARIA” della scritta, già frammentaria. Ai tempi dell’indagine della Gabrielli erano ancora visibili la parte sinistra dell’aureola e del corpo di una figura (che la scritta identificava appunto in Maria) in toni rossi su fondo chiaro.


L’uso del “titulus” (MARIA) rientrava in quelle “super-scriptiones” mediante le quali, con dichiarazioni aggiuntive ed esterne, si cercava da parte dell’arte medievale di “spiegare” l’immagine e di renderla ortodossa.


Più significativa era la fascia del sottarco che presentava dei medaglioni cuoriformi gialli, con pavoni dalle ali rosse e la testa di un giovane veduto di fronte con le guance chiazzate di rosso e di azzurro, i contorni del naso e delle sopracciglia sottolineati di bianco. All’esterno dei medaglioni, in basso, si poteva vedere una fila di pesciolini bianchi, punteggiati di rosso. Il criterio e lo spirito con cui erano disegnate le teste dei pesci in questo fregio, secondo la Gabriellierano gli stessi che si trovavano nelle miniature carolinge. L’epoca, sempre secondo la Gabrielli, era approssimativamente la stessa della fondazione della chiesa o al più tardi la fine del secolo XI.




Coeva alla chiesa o di poco posteriore era anche la statua detta della “Madonna nera”. Era in legno di bosso e rappresentava la Vergine seduta con il bambino in braccio. Purtroppo questa statua non fa più parte del patrimonio storico-artistico del nostro paese. Rinvenuta nella chiesa della “Gesiassa” fu trasportata e custodita presso la parrocchia di Borgo d’Ale. In seguito al sopralluogo effettuato dalla funzionaria di zona della  Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici del Piemonte, l’8 aprile 1997, si è potuto però constatare che la statua presente in parrocchia non è quella autentica, documentata dalla Soprintendenza nella prima metà del secolo, ma una copia.


Nel 1867, quando i contrasti tra lo Stato ed il clero portarono alle leggi Rattazzi sulla confisca dei beni ecclesiastici, che fecero incamerare al demanio i beni della Chiesa, venne venduto a privati il suo beneficio che anticamente, nel 1232, era ancora enorme (228 giornate di terreno).


Nel 1955 vi fu un tentativo di far acquisire al Comune la proprietà della chiesa, ma l’accordo, purtroppo, non si concluse. Analoga proposta di acquisizione della proprietà venne riproposta all’Amministrazione comunale con la mediazione del Gruppo “L’Archivi e ij Carti del Borgh”, nel 1989, ma anche questa volta senza esito. In seguito ad un’ulteriore sollecitazione del Gruppo “L’Archivi e ij Carti del Borgh”, il 24 aprile 1996, il consiglio comunale di Borgo d’Ale deliberò l’acquisizione in comodato del sito e ciò potrà, si spera, agevolare l’intervento e lo studio archeologico da parte della competente Soprintendenza.



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Pagina aggiornata il 29/09/2023 17:39:00

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